VOLO IN OMBRA

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"È uscito Volo in ombra di Anna Ruchat. Lo ha pubblicato Quarup, un piccolo editore di Pescara. Non lo troverete nei posti più in vista delle librerie, ma cercatelo, trovatelo. È un piccolo libro di 68 pagine, ma di quelli che bisogna meritarsi."

Antonio Moresco, «Il Primo Amore»

"Bewundernswert ist die Diskretion dieser Annäherungen, die dennoch eine grosse Intensität entfalten. ... Mit suggestiver Kraft zeichnet Ruchat den schmerzhaften Prozess der Erinnerung nach. Ihr zurückgenommener Stil und die sparsam instrumentierte Sprache unterstreichen das Tastende, Behutsame dieser Bewegung. Das bedrohliche Phantom gewinnt Konturen. Am Ende ist der Vater mehr als nur ein dunkler Schatten."

«Neue Zürcher Zeitung»

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In Volo in ombra Anna Ruchat indaga sulla morte di suo padre, pilota militare morto in un incidente aereo quando lei era bambina. Lo fa da tre punti di vista diversi in una sorta di trittico. In primo luogo c’è la bambina di un tempo spettatrice dell’assenza accanto alla madre, poi il padre che racconta la sua versione dei fatti e infine l’adulta Sofia-Anna che ricompone le tessere di un mosaico che rimarrà comunque un insieme di frammenti: il caleidoscopico ritratto di un’assenza.

Quarup, 2010

Paolo Di Stefano - Il corriere

Il volo di un padre: quando 53 secondi durano una vita

Raramente si leggono racconti in cui ogni parola appare dettata dalla necessità. Capita quando la narrazione nasce da un’esigenza quasi biologica ed è il caso del breve (come chiamarlo?) romanzo-verità di Anna Ruchat, Volo in ombra, pubblicato dalla piccola casa editrice di Pescara quarup con una bella copertina bianca e, in fotografia, un ragazzo dalle braccia aperte che salta da un trampolino. L’esigenza che si diceva «biologica» (più che genericamente auto-biografica) è questa: Anna Ruchat, che è anche ottima traduttrice letteraria dal tedesco (Bernhard, Celan, Nelly Sachs, Klemperer), racconta la morte di suo padre, avvenuta il 25 ottobre 1960 a Meiringen in Svizzera. Il sergente-pilota Kurt R. morì sul colpo schiantandosi su un aereo Hunter, durante un’esercitazione militare. Passarono 53 secondi dal momento in cui si accorse che il propulsore era bloccato. Che cosa sono diventati quei 53 secondi, cinquant’anni dopo, nella testa e nel cuore di sua figlia? Sono diventati i tre brevi capitoli di cui si compone Volo in ombra: la bambina che vediamo crescere con la madre; la voce del padre che ricorda il prima, il durante e il dopo come fosse testimone della propria morte; la figlia, ormai cresciuta, che si decide a fare chiarezza andando sulle tracce del padre (i luoghi, i testimoni e i documenti d’archivio). Il libro è il progressivo avvicinarsi dell’autrice al fuoco del trauma. Ne viene fuori un resoconto tesissimo, punteggiato da una parca distribuzione (alla Sebald) di testimonianze fotografiche che cominciano ad apparire dalla seconda metà del libro, quasi a dar corpo ai fantasmi, in parallelo con le parole. Nella prima parte (che ricorda la prosa paratattica e raggelante di Agota Kristof) osserviamo la spartana infanzia della piccola (Sofia è il nome che Anna si dà per raccontarsi da fuori in terza persona) nei suoi primi rarefatti e straniati contatti con il mondo, le poche amiche, la mamma con la sua vita, la sua professione di architetto e le sue (involontarie) crudeltà. Tra sguardi, gesti, qualche gioco, la baby-sitter, la nonna e le sue torte alle mele, una vecchia radio, il Requiem di Mozart, il giardino, quel che sentiamo è soprattutto l’assenza incombente, dentro cui si insinuano a far da contrappunto, come piccoli tagli (o ferite) nella tela, lacerti di verbale sull’incidente. Nel terzo capitolo, la bambina è in attesa del pilota che non tornerà («Il mondo - pensa - è pieno di indizi della sua presenza, basta cercarli, basta volerli cercare»), ma quando per la prima volta visita il cimitero, il tempo dell’attesa finisce, e Sofia e Anna ridiventano una sola persona. L’infanzia, con i suoi dolori, torna ad appartenere, armonicamente, alla vita: è a quel punto che le domande si affollano e comincia il viaggio interminabile e bruciante dentro quei 53 secondi. Non tutti gli interrogativi verranno sciolti, ma la liberazione, forse, è nel coraggio e nella forza di averli affrontati.

24 gennaio 2011

Schattenflug

Aus dem Italienischen von Maja Pflug, Jacqueline Aerne

In 'Schattenflug' geht Anna Ruchat dem Tod ihres Vaters nach, der als Militärpilot tödlich verunfallte, als sie noch ein Kind war. Sie tut dies aus drei Perspektiven, in einer Art Triptychon: Zuerst aus der Sicht des Mädchens von damals, danach erzählt der Vater seine Version, und schliesslich macht sich die erwachsene Sofia-Anna auf, von heute aus den 'Hunter'-Absturz zu erforschen. Das Mädchen lebt mit der Mutter zusammen. Nur ist da noch ein grosser Abwesender. Er scheint in den trockenen Zeilen eines militärischen Rapports über einen Flugunfall zu stecken. Aus diesem Rapport dringt die Stimme ihres Vaters, der erzählt, wie es zum Absturz kam. Schliesslich versucht die erwachsene Sofia-Anna die beiden Versionen zusammenzubringen. Sie folgt den einzelnen Stationen seines letzten Flugs, wühlt in Archiven, spricht mit Menschen, die ihn gekannt haben. Sie findet ein Wesen, das menschlich ist wie ein Geist und gespensterhaft wie ein Mensch.

Limmatt Verlag, 2012

"Das Gequälte und zugleich das Zwingende, sich mit dem Tod des Vaters zu beschäftigen, [...] wird hier zu einem ungewöhnlichen Stück Literatur. Nicht klagend, nicht einmal übermäßig poetisch, eher: um Genauigkeit bemüht, dem Prozess langsamen Begreifens sprachlichen Ausdruck zu geben."

«Frankfurter Rundschau»

"Die Sätze entstammen dem Unfallprotokoll des Vaters, der als Militärpilot tödlich verunglückte und seine Frau mit dem gemeinsamen Kind zurückliess. Der Stoff ist nicht fiktiv. Vielmehr hat Ruchat in ihrem neuen Buch die eigene Biografie literarische erkundet. Und allein schon, dass sie dafür statt Pathos eine ganz eigene Form wählte, mach den schmalen Band mehr als lesenswert."

«Der Sonntag»

Sortir de l'ombre

Traduit de l'italien par Véronique Volpato

«Profondément inscrite dans mon histoire, il y a – au début – la mort du père. (…) Toute mon enfance est emplie de cette énorme présence de la mort et de son tabou. Il m’a fallu un long travail pour arriver à trouver un soupirail dans lequel me faufiler, pour regarder mon histoire en face.»

Dans l’entretien accordé à Feuxcroisés en 2006, Anna Ruchat expliquait les raisons de ses débuts littéraires tardifs, après une longue activité de traductrice d’auteurs marqués par le deuil et la Shoah, tels Victor Klemperer ou Paul Celan. Si les nouvelles de Dans cette vie (In questa vita) tournaient déjà autour du thème de la perte et de l’absence, c’est dans ce nouveau livre, Sortir de l’ombre, (Volo in ombra) que Anna Ruchat ose plonger dans le trou noir autobiographique (antimatière de toute son oeuvre et peut-être de la littérature en soi), par une quête douloureuse. Le livre présente la même histoire sous trois angles différents : dans une première partie, nous suivons l’enfance de Sofia (double narratif de l’auteure), petite fille qui n’a même pas droit à la douleur (« cette douleur est un larcin et Sofia ne veut pas l’éprouver ») ; dans la troisième, Ruchat assume le « je » autobiographique, en relatant l’enquête qui lui a permis de retrouver les détails de la mort du père. Entre ces deux chapitres, le père défunt prend la parole, en racontant les derniers instants tragiques et dilatés de sa vie interrompue en plein vol.

Editions d'en bas, 2019